Il mare è… aspettativa.

parto con questa nuova serie di post dal titolo “il mare è…” parlando di una delle cose più ovvie: le aspettative.

apro con una lunga premessa, necessaria.

18 agosto 2019. nella buia spiaggia, dopo cena, accompagnato dal gruppetto di amici che hanno reso meravigliosa quell’estate mi dirigo verso l’auto per l’ultima volta, pronto a tornare a casa, col ricordo di un’ultima cena fatta pochi minuti prima tutti insieme, conclusione perfetta di una estate perfetta. nodo alla gola, fuochi d’artificio in lontananza.

quello, esattamente quello, fu l’ultimo vero autentico momento di felicità che io ricordi. poi, dalle settimane successive, dio a presentato il conto di questo mio evidentemente immeritato momento di paradiso vissuto per ben una settimana.

i capelli hanno iniziato a cadere a inizio settembre e per i mesi successivi sono state lacrime e telefonate in ogni dove, con medicinali sbagliati passati per buoni che hanno solo causato la perdita di tanti capelli buoni che si sarebbero invece potuti salvare. lacrime e preghiere, ricerche a non finire, soldi in visite, urla in casa per cercare di fare capire a una certa cretina che qualcosa non funziona (ma d’altra parte siamo tutti dottori quando la salute non è la nostra, giusto?).

alla fine, dopo mesi di palle di capelli che cadeva senza sosta la situazione è tornata sotto controllo, anche se adesso la capigliatura non è più come prima ma tutto sommato non posso neanche lamentarmi più di tanto.

il mese successivo, ottobre, la parente ha iniziato a stare male, problemi al solito cuore, con la notizia poi, di lì a poco, che l’operazione fatta a febbraio e che doveva farla campare almeno 1 anno e mezzo si è rivelata non durare oltre gli otto mesi.

“la parente è arrivata al capolinea”. questa la notizia comunicata da LEI in lacrime poco dopo il ricovero di due settimane per cercare di tamponare la situazione.

in simultanea il cane ha iniziato a perdere peso e il problema ai reni “non risolvibile ma gestibilissimo senza problemi” si è poi rivelato essere una eccellente copertura per un tumore alla milza scoperto solo quando era ormai arrivato a un linfonodo.

nel mezzo di tutto questo “andiamo tutti da maga magò”, il pranoterapeuta che col magnetismo delle mani ha “curato” il cane rivelandoci poi di aver sempre saputo da subito che c’era un cancro ma “di non averci detto niente perchè già turbati dalla morte imminente della parente”. si insomma, già pensiamo che sta per morire un famigliare, secondo lui era meglio non sapere del tumore del cane che però, piccolo particolare, magari poteva essere operato e salvato.

non lo sapremo mai.

mesi di ufficio in trance, con niente da fare e il capo che rompe i coglioni per qualunque cosa. arriva il natale e lo passiamo col nodo alla gola, col cane sempre più magro e la parente che si spegne sotto i nostri occhi.

il 3 gennaio muore lei, il 23 gennaio muore il cane.

trance totale, crolla il mondo.

a febbraio predica del capo perchè mi becca a scrivere email personali in orario di lavoro (ma se non ho niente da fare non è colpa mia). 1 ora e 17 minuti di ramanzina (segretamente registrata col cellulare dal sottoscritto) dove mi prospetta cambi di mansioni, ricatti, soffiate al direttore, nuovi lavori e, in definitiva una specie di “o così o fuori”. 10 anni di lavoro e cazzaggio senza che nulla sia mai crollato buttati nel cesso per le paranoie di un disabile mentale che trova il modo di giustificare la sua presenza e il suo ruolo spiando gli altri.

scrivania sgomberata da ogni cosa potesse impedirgli di spiarmi per bene, nuove mansioni del cazzo e coinvolgimento in qualunque cosa gli venga in mente, tutto tranne fare web, unico motivo di assunzione che mai sono riuscito a portare a termine.

ancora in lutto, col lavoro andato a puttane sono a un passo dall’esaurimento, pronto a mollare il lavoro e restare a casa in pace per chissà quanto tempo (anni?) nella vana speranza che un lavoro che cerco da 6-7 anni possa sbucare fuori da un momento all’altro.

poi arriva il virus, il meraviglioso virus che realizza uno dei più utopici desideri della mia vita: tutti a casa e fabbrichette chiuse, con operai liberi e titolari disperati. economia a picco, benzina quasi regala, la gente riscopre un nuovo modo di vivere, l’ipnosi del “lavoro, lavoro, lavoro” è finalmente stata picconata per bene.

tutti in telelavoro, io no, lo rifiuto con una scusa e passo 40 giorni a casa mia, in pace, a letto, con tv e computer, in pace, in silenzio, senza nessuno che possa disturbarmi.

i 40 giorni migliori del 2020.

si chiude la quarantena e intanto il campeggio che aspettavo rimanda l’apertura per la seconda volta: 60 giorni di ritardo in totale, 9 weekend persi, due mesi di stagioni bruciati.

nel mezzo, il nulla. poco lavoro o cazzate da fare, impossibile sapere/capire se e quando ci sarebbero state le ferie, annunciate in vergognoso ritardo, da prima solo 2 settimane sulle solite 4 poi aumentate a 3 quasi all’ultimo momento nonostante il sottoscritto -che nulla sa di fatturati, ordini ed economia- le avrebbe quasi raddoppiate appunto per palese mancanza di lavoro.

ma si sa, un ricco non vuole perdere mai, neanche fosse un centesimo.

e quindi eccomi qui, da quel 18 agosto 2019 dove tutto il bello è finito e da dove l’inferno ha avuto inizio ho dovuto attendere, tra lacrime, urla, funerali e umiliazioni, impotente, che passassero -lentissimi- altri 350 giorni.

350 giorni.

350 giorni dopo le aspettative erano tante, la voglia di divertimento era alle stelle ed era più necessaria che mai, per dimentica, per distrarsi, per inondare di colore tutto il nero degli ultimi 11 mesi.

e cosa ho ottenuto?

[continua nel prossimo post]

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