La macchinina rossa

ogni inverno quando passeggio per la strada e svolto verso l’imponente ingresso mi torni in mente e ti parlo, iniziando il monologo sempre allo stesso modo.

ti ricordi quando arrivavi con la tua macchinina rossa, carica di tutto, col lettino pieghevole rosso, il materasso piegato dentro, il retro pieno di sacchetti e borse, tutto ammassato con cura?

eravate sempre i primi ad arrivare e ci aspettavate sul marciapiede. poi con l’arrivo del cellulare c’erano le chiamate durante il viaggio, “siamo arrivati” o “stiamo per arrivare”.

poi svoltavamo l’ingresso, il viale alberato e la vacanza era ufficialmente iniziata. tutti scendevano, noi bambini eccitati, lei pronta a far conversazione sul traffico e le attese e lui che entrava in ufficio a fare i documenti e ne usciva col pancione in bella vista e un leggero tremore, segno di quello che tutti sapevamo sarebbe arrivato dopo.

si entrava passando attraverso la sbarra, dopo un anno di attesa tornavo finalmente in paradiso per ben 30 meravigliosi giorni, lontano da tutto e da tutti.

si arrivava al posto assegnato e lo show iniziava. lui scendeva a comandava a tutti di spingere o tirare, mettiamo qui, spostiamo lì. poi una volta posizionata al roulotte dava un colpo secco con le braccia, dita raccolte sul pollice e mignoli alzate e le allargava di scatto in orizzontale: “peeerfetto!”.

tutto calmo, ma anche no. bastava aprire porte e sportelli e iniziare a tirar giù le prime scatole che l’agitazione saliva a picco a livelli alti, a velocità supersonica.

allora volava via la maglietta e la trippa disegnata col compasso era già bella dilatata e luccicante di sudore, con la schiena tipo cascata nonostante la fatica fosse stata aprire la porta e aver scaricato due sacchetti. era solo nervosismo.

quindi se la prendeva a occhiatacce con tutti, con l’altro che -giustamente!- iniziava a scavare i solchi per salvarci dalla pioggia e l’altra che scaricava la roba sua. poi passava a me con ordini secchi e perentori. e io prendevo la bici, piccola, gialla, con la sella blu e sparivo per ore e quando tornavo era praticamente tutto montato, con lui rosso fuoco e i soliti teatrini che, fossi stato più grande, avrei fatto cessare subito con un paio di cazzotti ben piazzati, giusto per insegnagli alla svelta come stare al mondo e comportarsi in pubblico.

bestemmie e urla nel mezzo del resto del mondo che presumo ci guardasse con divertita sorpresa nel vedere questo circo di coglioni arrivati da chissà dove a guastare l’umore a tutti. ricordo come fosse ieri il gesto dell’altra che con le mani proponeva una pausa pranzo a metà lavoro e lui che esplodeva facendo star male tutti per le male parole e la reazione che, solo anni dopo, scoprimmo da cosa essere stata indotta.

quindi si finiva di montare tutto, eravamo in cinque ma si lavorava per dodici e alla fine era tutto sistemato e, coi nervi a fior di pelle e le mani che tremavano da rabbia e nervoso, la vacanza poteva avere inizio.

“vado a fare la doccia, dove è l’accappatoio?”

poi tornava fresco e rilassato, si asciugava le palle, si vestiva e sistemava le ultime cosine.

poi c’era il weekend insieme, poi loro tornavano a casa e gli altri restavano, poi tornavano nel weekend per i due giorni di cambio con gli altri che poi tornavano nuovamente fino al weekend successivo per poi scambiarsi definitivamente fino a fine vacanza. due settimana con gli altri, due settimane con loro. un mese di mare e non percepirlo neanche.

anni meravigliosi purtroppo persi per sempre.

poi arrivava l’ultima settimana, partenza al sabato entro mezzogiorno ma già dal giovedì gli occhi si iniettavano di sangue, chiaro segnale che la birra era tornata abbondantemente in circolo.

quindi agitazione crescente e da lì in poi l’unica cosa che era consigliato fare era “iniziare a mettere via che sabato partiamo!!!”. un anno c’era lo show de “la sirenetta” fatto dagli animatori, che avevo già visto una volta o due e che mi era piaciuto tantissimo, chiedi di poterlo vedere, di fermarci fino a sera invece di tornare a casa già a pranzo, ma niente da fare, partenza immediata. lo show non lo rividi mai più e ancora oggi la considero una occasione piacevole persa per niente.

il viaggio di rientro era tipo “ritorno all’inferno”, con l’agitazione di quello che c’era da fare una volta a casa.

parcheggiava nel piazzale e poi tutti a terra: iniziava lo sbarco. una intera roulotte carica di un mese di roba di mare da scaricare in otto minuti netti. e poi c’era la veranda da lavare, da stendere e poi da mettere via.

e muoviti, e sbrigati, e dai, e bestemmie a non finire, urla e tutto il resto. avevo ancora la sabbia nelle mutande e già mi pareva di essere tornato all’inferno da 5 mesi.

poi c’erano gli amici a cui scrivere le lettere o fare telefonate, le tenere amicizie fanciullesche che muoiono appena passata la sbarra d’uscita del campeggio, ma ieri come oggi a questa cosa ci tenevo e poi arrivavano le delusioni di mancate risposte e zero telefonate che non siano partite da me.

poi tornava il natale, il capodanno e poi, qualche mese dopo, un grande foglio appeso al mobile della cameretta da segnare con una croce giorno per giorno in attesa che arrivi l’ora di tornare in campeggio, ieri come oggi, unica gioia della mia vita.

tempi andati.

poi loro non sono più venuti e qualche anno dopo non siamo più tornati in campeggio neanche noi.

fine.

la roulotte è stata venduta qualche anno dopo, è arrivata la casa al mare e i viaggi in aero.

e oggi loro non ci sono più.

più finita di così.

ma la macchinina rossa c’è ancora. e anche il lettino.

ma nulla è rimasto in mano mia.

Il mare

domenica al mare, solito giro in centro, senza bici, non volevo sudare e prendere troppo freddo. un giro in chiesa, un giro in centro, un giro verso la grande spiaggia dove scattavo foto a SPALLE prima che si paralizzasse a causa di un incidente d’auto (più sentito manco lui, sebbene i continui tentativi di contatto. stia dov’è. e si vergogni).

rientro per le vie laterali, al telefono con BERTO (bagnino 2018) ad aggiornarlo sulle novità di BAMBA e il campeggio. ora ha lasciato il lavoro in fabbrica e si dedica alla sua attività di produttore di uova, lavanda e miele. è sereno.

torno verso l’appartamento, chiudo qua, chiudo la, tappa al supermercato e poi allo stagno a lanciare cibo a uccelli e oche, poi in spiaggia, ormai a metà pomeriggio, verso l’ingresso, foto, foto, foto, poi il ritorno sui miei passi, il freddo che sale un po’, il tramonto rosso e giallo, l’auto, la strada, direzione casa.

nessun salto oltre il muro: non c’era la voglia, non c’era la necessità.

va bene così.

tranquillo.

Anniversari di guerra

correva l’anno 2015, 25 novembre.

con una firma storica si chiudono definitivamente i rapporti con il regno del male, tra lacrimucce e un filo di tristezza che poi, come già sapevo, sono durate quanto una scoreggia, per poi tornare subito a fare dispetti a ogni buona occasione, dall’albero (nostro) tagliato senza avvisarsi, alla cabina elettrica costruita a ridosso del nostro muro di cinta, il tubo dell’acqua tagliato lasciandoci a secco.

e poi c’è la questione del “mantenimento” della strega che nonostante non abbiamo mai cacciato un euro per niente in tutta la sua vita, il conto corrente risulta svuotato (ovviamente i soldi li ha rubati quello che taglia i tubi dell’acqua) e quindi adesso le spese sono 50-50, pur poi restando a satana la proprietà della casa.

e andiamo avanti, a compromessi, o meglio, a rospi ingoiati, fingendo che i dispettucci non ci tocchino. peccato per l’albero, la cabina non la vediamo grazie alla siepe e per l’acqua abbiamo risolto chiamando l’idraulico e spostando dei tubi (a spese nostre ovviamente). e poi paghiamo il nostro 50% per tappare i buchi del suddetto ladro.

e andiamo avanti.

la fine della guerra sarà anche stata firmata 8 anni fa, ma a me sembra che il male non voglia firmare nulla.

ci penserà la morte, magari, quando sarà il momento.

e che muoia male.

Di case milionarie

nel 2020 l’attico dei miei sogni -sul quale sbavavo da anni- è stato messo in vendita alla modicissima cifra di 980.000 euro. immenso, 3 camere, 2 bagni, ripostiglio, ampissimo soggiorno, cucina comodissima, terrazzi ovunque lungo tutto l’appartamento e, cosa più meravigliosa delle meravigliose meraviglie: 70 mq di terrazzo (immenso!) più un secondo terrazzo di dimensioni più ridotte ma comunque bello grande.

un sogno che per ragioni economiche è ovviamente rimasto tale. un anno dopo è stato venduto e beato chi lo ha potuto comprare.

per caso la scorsa settimana scopro che l’attico al livello inferiore è stato messo in vendita. 3 camere, 2 bagni, soggiorno ampio e cucina, tutto su un livello, con un terrazzo grande meno della metà di quello al piano superiore e comunque una superfice ben inferiore.

prezzo? 1.100.000 euro.

pura follia.

scrivo all’agenzia per avere una planimetria e mi mandato un file grande quanto un francobollo dove non si vede un cazzo.

un milione di casa e manco un depliant informativo?

fottute teste di cazzo.

ad ogni modo è bello al metà di quello che ho vistato, totalmente fuori prezzo rispetto a quello più grande del piano superiore che ha il vantaggio di avere oltre alla terrazza immensa anche una vista a 360° sulla città.

impagabile.

nel senso che non lo posso pagare.

la sfortuna di non essere ricchi…

Pittore de sto cazzo

ha dipinto le travi esterne della casa al mare saltando i punti più difficili (difficili = troppa fatica arrivare a dipingere) e sporcando i muri con sbaffi di colore perchè non ha usato protezioni tipo il nastro carta (protezioni = troppa fatica metterle).

volevo mandargli una foto con scritto “bisogna proprio essere dei coglioni” ma poi ho lasciato perdere.

lascio perdere.

lascio perdere tutto.