La mia amicizia

cresciamo con l’idea che l’amicizia sia ovunque, che sia amico il bambino che ti da confidenza al mare, quello col quale passi una bella estate facendo castelli di sabbia e giri in bicicletta.

poi cresci e comunque sono tutti “amici”: i compagni di classe, quelli che incotri a qualche corso, ci ridi, ci scherzi, condividi, chaicchieri.

restano amici anche quando i compagni diventano ex, tu entri in ufficio e trovi altre persone, tutte “amiche”, tutte che io tengo a debita distanza perchè (grazie a dio) fin dal primo giorno di lavoro, ovunque sia, ho sempre avuto la regola che “i colleghi NON sono amici e gli amici NON POSSONO essere colleghi”.

parlo per me: sono cresciuto con la convinzione dell’amicizia che si vede nei telefilm, dove il gruppo di amici di turno si parano il culo l’un l’altro senza dire una parola, si invitano, condividono, si aiutano, si supportano, piangono insieme, ridono insieme. un mondo dove il telefono non si usa per i video di cazzate ma per telefonare, chiedere, assicurarsi sulla felicità del prossimo.

crescendo ho trovato tanti amici, ma nessuno come quelli che si vedono nei telefilm.

ho tenuto rapporti con gente che mi ha definito in pubblico “il mio migliore amico” ma che poi spariva puntualmente per mesi e ancora oggi ci si vede solo per natale e compleanni o quando lui deve sfogarsi del lavoro o raccontarmi dei suoi successi affettivi.

ho avuto gente che è rimasta a parlare in una piazzola deserta in campeggio fino alle 3 di notte e adesso a fatica risponde al telefono.

ho avuto gente che mi stritola coi suoi abbracci ogni volta che mi vedere ma poi sparisce per anni e mi chiede, seccata, di “non mandare immagini stupide sul cellulare che ha poca memoria perchè la vuole tenere per le foto dei suoi figli”. 20 anni di amicizia, questo è il livello.

ho avuto gente che è passata dal vedermi 50 volte a settimana a zero volte in 2 anni.

amici che chiamano quando c’era il conto da pagare o quando serviva far numero per qualche attività.

40 giorni di quarantena e nessuno ha mai chiamato per sentire se ero ancora vivo. al contrario io ho sempre chiamato tutti, passando la bellezza di 25 ore al telefono in totale, più o meno.

ma non importa.

oggi affronto tutto con più distacco: ti conosco, si, piacere, due chiacchiere, quattro risate, teniamoci in contatto ma ora già parto con l’idea che se vorrò farlo sarò solo io a chiamare, perchè dall’altra parte, come fanno tutti, ci sarà solo il silenzio.

è un po’ come se mi sentissi “uno dei tanti”, quello che incontri nel luogo “X” e per quante cose, parole, avventure, situzioni, gioie, dolori si condiviano alla fine tempo 6 ore senza vedersi e manco ricordano la tua esistenza.

evidentemente sbaglio io, chiaramente, in un mondo dove il motto per tutti è “me ne fotte un cazzo” essendo l’unico a non seguire detta direttiva sono io in fallo.

ma va bene cos’, ripeto. basta prenderne atto.

oggi rido, chiacchiero, conosco, condivido, lascio il numero di telefono.

poi se voglio lo uso, ti chiamo, chicchiero, rido, eccetera. vorrei fosse anche al contrario questa cosa, ma se non capita mai poco male.

basta che io sia felice.

tutto qua.

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